I Pilastri dell'Islam A cura di AbdulJalil Randellini |
L'Imposta Coranica Il quarto pilastro L’Islam afferma la necessità
dell’uomo di ricercare il benessere materiale e di non
disprezzarlo: “Cerca
i beni che Dio ti ha concesso…”
(Corano, 28:77). Assegna però a questa necessità
il suo vero ruolo, ponendo l’accento sul doppio aspetto,
spirituale e materiale, dell’uomo: “…Ci
sono persone che dicono: “Signore dacci le cose buone di questo
mondo!” Questi non avranno parte nell’Altra vita. E ci sono
persone che dicono: “Signor nostro! Dacci le cose buone di questo
mondo e le cose buone dell’Altra vita e allontanaci dal Fuoco!”
Questi avranno la parte che si saranno meritati. Dio è rapido nel
conto”. (Corano,
2:200-202). L’Islam precisa che Dio ha
creato tutto ciò che si trova sulla terra e nell’universo, e lo
ha reso disponibile per l’uomo. Doni e favori di Dio sono dunque
considerate anche le ricchezze e i beni posseduti: “Appartengono
a Lui le chiavi dei cieli e della terra. Elargisce generosamente a
chi vuole e a chi vuole lesina. In verità Egli è onnisciente”. (Corano, 42:12). L’uomo deve quindi trarre
vantaggio in modo lecito e ragionevole di quello che ha ricevuto,
gestirlo e amministrarlo con oculatezza e giustizia. La condivisione
del benessere è precisata in termini inequivocabili nel Corano: “…cosicché
non sia diviso fra i ricchi fra voi”.
(Corano, 59:7). L’Islam prende dunque atto che
nella società esistono i ricchi e i poveri. Ai ricchi, Dio impone
il dovere di suddividere i loro beni a favore dei poveri,
obbligandoli a non praticare metodi immorali di sfruttamento, a non
acquisire le ricchezze con mezzi illeciti, a non tesaurizzarle e
accumularle. Il
comandamento dell’Imposta coranica, in arabo Zakaat,
è il quarto pilastro dell’Islam. Il significato letterale di questa parola araba è “purificazione”.
Il Profeta ha detto: “Dio
ha reso obbligatoria la Zakaat semplicemente per purificare ciò che
vi resta”. Pagare questa imposta, una volta l’anno, per ridistribuire una quota delle proprie ricchezze a coloro che sono nell’indigenza, è un obbligo per tutti i musulmani che ne abbiano la possibilità. L’Islam ha elaborato nella sua dottrina e fissato nella propria giurisprudenza le norme relative. La tassa coranica è calcolata sul risparmio annuale o sul capitale, e può essere versata in denaro o in natura. In nessun’altra religione esiste
qualcosa di simile. I tentativi di suddivisione della ricchezza
messi in atto in molte società moderne, basati su ideologie
marxiste, socialiste o capitaliste, non sono riusciti a risolvere il
problema della povertà. In molti casi, hanno addirittura peggiorato
il divario fra i ricchi e i poveri nella stessa società, fra i
paesi ricchi e quelli poveri, fra il mondo occidentale e i paesi del
terzo mondo. La storia dell’Islam durante il
periodo dei Califfi Ben Guidati ha dimostrato, invece, che quando
l’istituto dell’Imposta coranica è stato applicato secondo il
canone, ha risolto in modo esemplare il problema della suddivisione
della ricchezza fra i membri della comunità. Altri significati dati alla parola araba Zakaat,
quali “carità”,
“prelievo”, “elemosina”, “tassa per i poveri”, non riflettono lo spirito che muove questa
pratica islamica. E’, in primo luogo, un ordine di Dio, quindi un
atto di adorazione. A più riprese, il Corano vi fa riferimento: “In
verità coloro che avranno creduto e avranno compiuto il bene,
avranno assolto la Preghiera e versato la Tassa coranica, avranno la
loro ricompensa presso il loro Signore. Non avranno nulla da temere
e non saranno afflitti”. (Corano, 2:277). “Alif,
Làm, Mìm. Questi sono I versetti del Libro saggio, guida e
misericordia per coloro che compiono il bene, che assolvono la
Preghiera e pagano la Tassa coranica e fermamente credono
nell’Altra vita, e che seguono la guida del loro Signore: questi
sono coloro che prospereranno”.
(Corano, 31:1-5) La ridistribuzione della Tassa
coranica, secondo il canone islamico, si propone di affrancare la
società dalle tare sociali che l’affliggono, come le differenze
sociali, il classismo, la rivalità, e la corruzione. Dal punto di vista pratico, lo
Stato islamico può assumersi il compito di raccogliere questa
imposta fra i musulmani su cui incombe l’obbligo e ridistribuirla
alle categorie di bisognosi previste dal Corano. Il primo califfo
Abu Bakr, dopo la morte del Profeta, riportò all’ordine coloro
che, approfittando della situazione, si rifiutavano di versare
l’Imposta coranica, sostenendo di avere fatto il patto di
sottomissione all’Islam solo col Profeta. Secondo l’Islam, non
si possono accettare o rifiutarne certe norme della Legge, secondo i
propri comodi e interessi. Spetta dunque al singolo individuo
essere coscienzioso e prelevare l’Imposta coranica dai suoi averi,
ovunque si trovi, anche lontano da uno stato islamico. Può
distribuirla ad altri musulmani bisognosi colà residenti, secondo
le priorità fissate dal Corano, oppure versarla alle associazioni
islamiche che possono provvedervi. Il Corano fa riferimento alla
ricchezza come alla munificenza e alla generosità di Dio: “Egli
è Colui che ha creato i cieli e la terra e dal cielo ha fatto
scendere per voi un’acqua per mezzo della quale Noi abbiamo fatto
germogliare giardini rigogliosi i cui alberi voi non sapreste far
germogliare”. (Corano, 27:60). La ricchezza deve essere però
prodotta e acquisita lecitamente, e ripartita secondo le regole
divine. Riguardo alla sua acquisizione, il Corano e la Sunna sono
molto espliciti: i guadagni di provenienza illecita sono dei segni
di disobbedienza a Dio. E’ un diritto del povero
usufruire dell’Imposta coranica, e un dovere del benestante
provvedervi. Come per ogni altro atto di devozione islamico, è
imperativo che colui che dà, come colui che riceve, siano uomini
sinceri, convinti di osservare un comandamento di Dio: “Egli
è Colui che vi ha costituiti eredi della terra e vi ha elevato di
livello, gli uni sugli altri, per provarvi in quel che vi ha dato.
In verità il tuo Signore è rapido nel castigo, in verità è
perdonatore, misericordioso”. (Corano, 7:165). L’Islam raccomanda
all’abbiente ad essere magnanimo, ed al bisognoso ad osservare la
moderazione nel pretendere. Insegna ad essere caritatevole e
generoso, a rinunciare all’orgoglio del potere, ai piaceri
mondani, e a non disprezzare e provare avversione per il bisognoso.
Insegna a quest’ultimo a non provare astio e invidia, ad avere
pazienza e fiducia, e soprattutto a sforzarsi di migliorare. L’Islam non considera un uomo
migliore di un altro per le sue fortune o per la sua posizione. Più
valore hanno presso Dio la pietà, il timore e la generosità. Il
Profeta ha detto: “L’uomo
generoso è vicino a Dio, vicino al Paradiso, vicino all’uomo e
lontano dall’Inferno, ma l’avaro è lontano da Dio, lontano dal
Paradiso, lontano dall’uomo e vicino all’Inferno. Un ignorante
che è generoso è, infatti, più caro a Dio di un credente
avaro”. Versare l’Imposta coranica non deve essere motivo per l’uomo ricco di sentirsi superiore al povero. Deve essere invece riconoscente a Dio per avere aiutato i bisognosi, purificato i suoi beni, e obbedito sperando nel perdono dei peccati. I Pilastri dell'Islam | Centro Islamico Italiano | Libri Islamici |
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