IN CLASSE CON NUREDDIN A cura di Renata Gironi |
L'Islam raccontato ai ragazzi Oggi
è il primo giorno di scuola. È un giorno speciale: c'è una
trepida attesa di qualcosa di indefinito, di nonsisabenechecosa,
che rende cuore ed animo in festa; c'è la gioia di ritrovare i
compagni, di incamminarsi per un nuovo tratto di strada, insieme. «Ciao!»
«Ciao!»
«Io
sono stato al mare quest'estate.» «Anch'io.»
«Lui, invece, in montagna dai nonni.» Poi
eccoli tutti seduti in quella che sarà la loro classe per questo
nuovo anno scolastico. Girano attorno lo sguardo, ci sono tutti, e
tutti sono un po' cresciuti. La loro compostezza tradisce l'eco
delle raccomandazioni della mamma e soprattutto i loro buoni
propositi. Si
apre la porta della classe e il bidello introduce un
"nuovo" compagno. Tutti gli occhi sono puntati su di lui
e lo intimidiscono. «Come
ti chiami?», è la prima domanda. «Nureddin»,
risponde il nuovo. Questo
nome non l'hanno mai sentito; da un lato aumenta la curiosità e
dall'altro il timore. Per qualche istante il "nuovo" si
sente studiato, osservato e lui studia e osserva gli altri con i
quali dovrà condividere i tanti futuri giorni di scuola. Poi
ecco una nuova domanda? «Da dove vieni?» «Vengo
da un'altra città italiana, ma sono nato al Cairo, in Egitto.» La
curiosità cede il posto allo stupore: la storia dell'Egitto loro
l'hanno studiata, il paese non è poi così lontano e sono rimasti
affascinati dai geroglifici, dalle piramidi, dalla Sfinge. Sembra
quasi che l'iniziale disagio tra il "nuovo" e gli altri si
attenui: lui è nato in Egitto, ma noi abbiamo studiato la civiltà
di quel popolo. Poi
una voce chiede: «Sei stato alle piramidi, le hai viste da vicino?» «Sì!»,
è la risposta. A
questo "sì" è legato il subitaneo interesse che Nureddin
suscita. E
poi tante altre domande: Com'è il deserto? La Sfinge è così
misteriosa? Ci si entra nelle piramidi? Tu ci sei stato? A
poco a poco l'interesse per Nureddin diventa simpatia, non è più
il "nuovo", è adottato, è uno di loro. Quest'anno
c'è un amico in più.
Il
giorno seguente Nureddin porta a scuola delle fotografie che lo ritraggono
sullo sfondo delle piramidi che suscitano in tutti non l'invidia,
perché i ragazzi non sanno ancora cosa sia,
ma il desiderio di andare in Egitto, un giorno o l'altro, con
i genitori, in vacanza, oppure quando saranno grandi. Dopo
l'intervallo entra in classe una giovane donna bionda, sorridente,
che tutti salutano facendo un po' di baccano: è l'insegnante di
religione a cui, zittito il frastuono, viene presentato Nureddin. La
conoscenza ha luogo con una stretta di mano, come tra i grandi,
anche se un po' impacciata da parte di Nureddin, mentre
l'insegnante gli scompiglia i capelli. Ha
poi inizio la lezione: si parla di Noè, di Abramo, di Mosè. «Anche
tu Nureddin conosci questi profeti, anche se non sei cristiano,
vero?» Sì,
sono musulmano, e il loro nome è nel Corano che è il nostro Libro
Sacro.» «Si
parla anche di Gesù?» «Anche
di Gesù.» Le
domande diventano tante ed il ragazzo adesso, sia per la sua giovane
età, sia perché si sente il centro dell'attrazione, s'imbarazza,
confuso, e non sa rispondere bene. L'insegnante
allora ha una proposta: «Perché, dice, se il lavoro glielo
permette, non invitiamo il papà di Nureddin in classe? Potremmo
fargli tante domande. Che ne pensate?» Un
sì corale, di quelli lunghi strascicati, che indicano l'entusiasmo,
l'approvazione dell'idea, segue questa proposta. Fra
una settimana quindi, se sarà possibile, faremo la conoscenza del
padre di Nureddin.
Dopo
quindici giorni, prima non era stato possibile, ecco arrivare in
classe, con l'insegnante di religione, il padre di Nureddin. È
il signor Omar: un uomo alto e massiccio, non grasso, dalla carnagione
ambrata, capelli brizzolati, molto ricci e occhi neri, vivaci e
sorridenti che assomigliano molto a quelli di Nureddin, che è insieme
fiero e contento, ma anche un po' timoroso, senza sapere bene il
perché, che il suo papà stia in classe con lui, l'insegnante, i
compagni. Il
signor Omar, dopo essersi consultato brevemente con l'insegnante,
inizia subito a parlare e si vede che è un papà perché si fa
capire subito dai ragazzi e si muove con disinvoltura tra i banchi
mentre parla e dice: «Prima
di tutto, ragazzi, desidero farvi capire una cosa. Mi è capitato
più di una volta, invitando degli amici di Nureddin a casa vederli
scimmiottare i gesti che i Musulmani fanno nelle preghiere dicendo
ad alta voce Allâh! Allâh! Mettiamo
in chiaro che i Musulmani adorano Allâh
che non è né un feticcio, né un idolo, ma significa
semplicemente Dio in lingua araba, quindi i Musulmani adorano Dio
come l'adorano i Cristiani. Allâh
è la perfetta traduzione della parola Dio, come umm
lo è di mamma e abû
di papà. Assodato
quindi che i Musulmani adorano Dio, veniamo ai gesti fatti durante
la preghiera che si chiama salâh. Ognuno
di questi gesti è stato mostrato dall'Arcangelo Gabriele quando
ha insegnato a Muhammad a compiere la preghiera (ma di questo
parleremo un'altra volta) e ciascuno ha un suo significato; sono
simboli un po' difficili da spiegare, ma per ora ricordate che non
sono gesti inventati dall'uomo ed hanno significati profondi. Ho
detto Muhammad e non Maometto come sento dire, perché questo era il
suo nome e mi sembra più giusto, più appropriato. chiamarlo così.» Poi
prosegue: «Ora voglio darvi in breve qualche notizia sulla sua
vita. Muhammad
nacque intorno al 570 d.C. nella tribù dei Quraysh, nobile tribù
araba, discendente da Ismaele, figlio di Abramo, fratello di Isacco,
capostipite questi delle dodici tribù degli Ebrei da cui nascerà
anche Gesù. Vedete quindi che c'è una sorta di legame che
rende Ebrei, Cristiani e Musulmani quasi parenti, avendo tutti
Abramo quale progenitore. Abramo riconosceva l'esistenza di un
Dio unico e per questo tutte le tre grandi religioni che si
richiamano a lui, Ebraismo, Cristianesimo ed Islam,
si dichiarano monoteiste,
anche se con delle differenze profonde al loro interno. Mi
direte che capite benissimo i termini Ebrei-Ebraismo, Cristo-Cristiani,
ma Islam-Musulmani? Islam significa
"sottomissione", e più precisamente
"sottomissione alla volontà Divina"; coloro che professano
l'Islam si chiamano Muslim da cui Musulmani. Ma
vedo che ho divagato molto; torniamo alla vita di Muhammad. Quando
nasce suo padre è morto da pochi mesi; trascorre i primissimi
anni nel deserto con una nutrice secondo gli usi di allora, poi
torna alla Mecca con la madre. All'età di sei anni sua madre decide
di condurlo a conoscere i parenti di Yathrib, il nome antico
dell'attuale città di Medina, e si uniscono ad una carovana diretta
in quei luoghi accompagnati dalla fedele Baraka, quella che oggi
chiameremmo una "collaboratrice domestica". Anni
dopo Muhammad racconterà di aver imparato a nuotare in una vasca
presso questi suoi parenti e di come i ragazzi gli avessero
insegnato a far volare un aquilone. Purtroppo, sulla via del
ritorno, la madre si ammala e muore, ed è Baraka a riportare il
fanciullo, privo di entrambe i genitori, alla Mecca dove lo
consegna al nonno paterno. Un grande amore unisce nipotino e nonno,
ma solo due anni dopo la morte della madre anche il nonno muore. Muhammad
viene affidato allo zio che lo considererà per sempre come uno dei
suoi figli, amandolo teneramente. Cosa
dite ragazzi? Non fu certo un'infanzia fortunata! Lo
zio non era ricco e Muhammad per contribuire al suo sostentamento
portava pecore e capre al pascolo. Qualche volta lo zio lo conduceva
con sé nei suoi viaggi che lo spingevano a commerciare lontano da
casa. Muhammad cresceva e sempre più spesso accompagnava i suoi
parenti nei lontani commerci fino a che un commerciante, che non
poteva viaggiare, gli affidò le sue merci. Muhammad riscosse un
grande successo da questo incarico, che fu il primo di molti altri;
in questo modo poteva provvedere a se stesso. Più tardi sposò Khadìja,
ebbe dei figli e visse con lei un matrimonio felice. Dovete
sapere che alla Mecca esisteva da tempo immemorabile un tempio di
forma cubica chiamato Kaaba, costruito già da Abramo. I pellegrini,
provenienti da più parti, vi si recavano e vi giravano attorno
devotamente perché era un segno della Potenza divina che Dio
stesso aveva voluto si costruisse. Nel
605 d.C., quando Muhammad aveva trentacinque anni, i paramenti che
ricoprivano all'esterno la Kaaba presero fuoco e l'edificio, anche
per le piogge torrenziali, rischiava di crollare. Se ne decise
quindi la ricostruzione e tutti gli abitanti della Mecca cercarono
di collaborare alla sua riedificazione. Nell'edificio
era posta una Pietra Nera risalente, dice la tradizione, addirittura
ad Adamo. Quando,
durante la ricostruzione del tempio, giunse il momento di rimetterla
al suo posto, ci si chiese chi avrebbe avuto questo onore e già si
disputava sull'argomento quando qualcuno suggerì: la prima persona
che fosse sopraggiunta avrebbe dato una decisione valida per tutti. Ecco
sopraggiungere Muhammad, noto a tutti col soprannome di al-Amîn,
che significa "l'onesto", e tutti l'accettarono di buon
grado come arbitro. Muhammad
fece porre per terra un mantello, vi depose la Pietra Nera, e poi i
capi delle tribù meccane, presi i lembi del mantello, lo
sollevarono fino al punto in cui la Pietra doveva essere posta,
quindi fu Muhammad stesso a porla
nell'angolo prestabilito. Da
quel momento Muhammad ebbe caro trascorrere dei periodi in solitudine
in una grotta chiamata Hirâ', vicino alla Mecca, dove si recava con
un po' di provviste prese da casa, per dedicarsi in solitudine
all'adorazione di Dio. A quel tempo gli Arabi erano idolatri, il
culto antico era degenerato e pochi erano coloro che avevano abbracciato
il Cristianesimo; Muhammad, per contro, seguiva, con pochi altri,
ancora il culto antico praticato da Abramo di cui vi ho già detto.» Una
pausa, un respiro più profondo, come per prender fiato, poi il signor
Omar continua. «Se non avete domande da pormi proseguo ancora un
po'.» Non
i ragazzi, ma l'insegnante di religione chiede: «Non esistono segni
premonitori, come avvenne per Gesù con l'Annunciazione e la stella
cometa, che ci dicano della venuta di un uomo spiritualmente
importante?» «Sì,
ce ne sono e alcuni risalgono perfino all'infanzia di Muhammad. Vi
racconto questo episodio. In
uno dei viaggi che Muhammad fece con lo zio, un monaco cristiano
di nome Bahìra, che viveva in una cella vicino a Bosra, osservando
la carovana proveniente dalla Mecca, si accorse che una piccola
nuvola si muoveva lentamente sulla testa dei viaggiatori in modo da
proteggerli dai raggi del sole e, con meraviglia, vide che questa si
fermava quando essi si fermavano. Anzi, ancor di più, quando la
carovana si fermò sotto un gigantesco albero, fu come se questo
abbassasse i suoi rami per proteggere le persone dalla calura. Bahìra
comprese che simili prodigi potevano avvenire solo in presenza di
una grande figura spirituale e ricordò allora come i libri che
aveva nella sua cella predicessero la venuta di un profeta per il popolo
arabo. Invitò
allora tutti i componenti della carovana a prendere un pasto con
lui e gli bastò osservarli uno ad uno per accorgersi che una luce
particolare emanava dal volto di Muhammad allora ancora ragazzo.
Gli fece quindi molte domande e seppe anche che sulla schiena aveva
un segno particolare. Tutto coincideva con quanto era scritto nei
suoi vecchi libri. Allora, rivolto allo zio di Muhammad, gli
raccomandò di avere cura del ragazzo, poiché un grande avvenire lo
attendeva e sarebbe divenuto il profeta promesso al popolo arabo.» Un'occhiata
all'orologio e il signor Omar decide di sospendere per un po' la sua
chiacchierata. Conosce i ragazzi e un rumore di carta, svolta alla
chetichella sotto un banco, gli ha ricordato che quella è l'ora
della merenda.
Durante
la breve pausa il signor Omar chiacchiera con le insegnanti delle
classi attigue, i ragazzi sgranocchiano le loro merende, qualcuno
tenta una corsa, frenata in partenza poiché sa che non si può
correre nei corridoi e Nureddin, divenuto centro di attenzione di un
gruppetto di alunni, deve rispondere su quanti anni ha il suo papà,
per che squadra tifa, che macchina ha e via dicendo.
Di
nuovo in classe. Il
signor Omar continua: «Riprendiamo il nostro discorso ancora per un
poco: ho un impegno e non posso ritardare. Mi sono già accordato
con le vostre insegnati e ci vedremo un'altra volta appena mi sarà
possibile. Ora mi preme che abbiate ben chiari due concetti: Il
significato delle parole Profeta
e Rivelazione. Chi
mi vuol dire cosa significano?» «Al
solito uno dei più bravi si alza e: «Per me Profeta
è chi dice il futuro e Rivelazione
quello che dice.» «Abbastanza
giusto, ma non completamente. Prendiamo il vocabolario e guardiamo
Profeta: profeta è
propriamente chi parla in nome di Dio e anche chi rivela il futuro
per Sua ispirazione. Voi
già conoscete il nome di alcuni profeti, di coloro, quindi, che parlano
in nome di Dio. Sentiamone qualcuno.» Dopo
alcuni secondi di riflessione da parti diverse arrivano dei nomi: «Noè,
Abramo, Mosè, Elia.» E il nostro Nureddin aggiunge: «Anche Gesù
e Muhammad.» «Aggiunta molto appropriata in quanto i Musulmani ritengono
Gesù un grande profeta ed hanno di lui, ed anche della Vergine,
massimo rispetto, tant'è vero che fanno seguire al suo nome le
parole: la Pace sia su di
lui!, ma non lo ritengono Figlio di Dio. Vediamo
ora il concetto di Rivelazione.
Il vocabolario, alla voce, cita tra l'altro: comunicazione
di verità fatta da Dio agli uomini per la loro santificazione e
vita eterna. Se
riteniamo Muhammad profeta e la rivelazione che ha ricevuto, raccolta
nel Corano, Parola di Dio e crediamo in Dio, dobbiamo ritenere
vere tutte le parole che sono nel Corano e quindi anche che Gesù è
profeta, perché così è scritto. Può Dio dire bugie?» Un «no»
sconcertato, assoluto, come se si fosse trattato della più grande
assurdità è la
risposta. Una
rapida occhiata all'orologio ed il signor Omar continua: «Mi
rendo conto di aver un po' divagato lasciando in sospeso il racconto
della vita di Muhammad, ma non sono un insegnante e non conosco
certe tecniche, conosco solo i ragazzi perché sono stato ragazzo
anch'io e ora, oltre a Nureddin, sono papà di altri due ragazzi
più grandi. Ma ditemi: sapete quanti sono i profeti in tutta la
storia dell'umanità?» I
più scuotono la testa. «Si
tramanda che siano stati 124.000 e che Muhammad, afferma il Corano,
è l'ultimo che Dio invia a questa umanità.» «Vediamo
se vi ricordate di una cosa che vi ho spiegato. Se
avessi detto: l'ultimo che Allâh
invia a questa umanità, avrei detto qualcosa di diverso? Chi
mi risponde?» Si
alzano moltissime mani ed è un coro di: «Io! io! io!» Presa
al volo la prima mano protesa che gli capita a tiro, il signor Omar
replica: «Rispondi tu.» «No,
la stessa cosa, perché Dio in arabo si dice Allâh.» «Bene,
andiamo avanti. C'è una distinzione da fare in questo grande numero
di profeti. Alcuni di questi, per volere divino, trasmettono alla
gente una Legge che deve essere seguita da tutti coloro che
vogliono ubbidire a Dio e si chiamano quindi profeti legiferanti,
ossia portatori di una Legge. È questa per voi una parola nuova, ma
sicuramente non troppo difficile perché in questo
"legiferanti" sentite il suono della parola
"legge" da cui deriva. Questi profeti sono un numero molto
minore e quasi sempre la loro Legge viene scritta in un Libro, ed infatti
abbiamo, per esempio, il Pentateuco dato a Mosè, il vangelo per i
Cristiani ed il Corano per i Musulmani. Questi profeti che portano
una Legge divina all'uomo vengono detti anche Inviati o Messaggeri
di Dio, di cui, come ho già detto, Muhammad è l'ultimo, il loro
"sigillo".» Ancora
un'occhiata all'orologio, poi il signor Omar dice: «Ragazzi devo
proprio andare, spero di essermi fatto capire e di non avervi
annoiato.» Uno
scambio di parole con l'insegnate, una stretta di mano, poi ancora:
«Arrivederci alla prossima volta, ciao a tutti.» Molti
ciao, qualche buongiorno e pochi, timidi grazie accompagnano
l'uscita del signor Omar.
Un
"dolce" intermezzo nella vita di classe. Nureddin
porta a scuola un pacchetto promettente: è arrivato qualche suo
parente dall'Egitto con tanti dolci e Nureddin vuole che i suoi
compagni ne assaggino qualcuno. All'intervallo, senza l'intervento
dell'insegnante, sarebbe stato difficile al nostro Nureddin gestirne
la distribuzione per la ressa creatasi intorno a quel vassoio e le
troppe mani tese. Sono dolci dolcissimi, perlopiù fatti di farina
di mandorle, pistacchi, cocco tritato, miele, assai diversi dai
dolci nazionali e riscuotono uno strepitoso successo. Un
ragazzo, ancora con la bocca impastata di cocco, forse per l'inconscio
desiderio di avere degli altri dolci , domanda: «Quando viene tuo
papà a spiegarci altre cose sull'Islâm?» «Presto,
forse la settimana ventura.» È la risposta.
«Salve
ragazzi! Eccoci di nuovo insieme. Vorrei riprendere a dirvi della
vita di Muhammad. Lo abbiamo visto giovane orfano nella grotta del
monaco cristiano Bahìra, che predice allo zio che il ragazzo
sarebbe divenuto il profeta atteso dal popolo arabo, e lo abbiamo lasciato
nella grotta Hirâ' dove, ormai uomo, soleva ritirarsi in preghiera
rivolgendosi a quel Dio Unico a cui anche Abramo, suo progenitore
attraverso Ismaele, si era rivolto. Fu
durante uno di questi periodi di ritiro, verso il suo quarantesimo
anno di età, che una notte venne da lui un angelo in forma umana e
gli comunicò un primo gruppo di cinque versetti di quello che sarà
il futuro Corano, dando inizio così alla Rivelazione. Muhammad
era sbigottito ed intimorito, volle lasciare la grotta per tornare
a casa, ma da qualsiasi parte guardasse vedeva sempre l'angelo che
gli diceva: "Io sono Gabriele, e tu, Muhammad, il Messaggero
di Dio." Muhammad
pensava di essere un invasato, o che uno spirito fosse entrato nel
suo corpo e finalmente giunto a casa disse alla moglie Khadìja:
"Coprimi, coprimi!" e non aggiunse altro finché
l'agitazione non fu passata e il suo cuore non ebbe ritrovato la
pace. Raccontò
quindi quello che era accaduto alla moglie che, conoscendolo come
un uomo onesto e devoto,
lo rassicurò che niente di male poteva essergli capitato. Si recò
quindi da suo cugino Waraqa, monaco cristiano, per raccontare ciò
che era avvenuto a Muhammad. Quando
il vecchio e cieco Waraqa ebbe udito il racconto esclamò: "È
successo a Muhammad quello che è successo a suo tempo a Mosè. In
verità Muhammad è il profeta atteso da questo popolo. Digli di
stare tranquillo." Khadìja,
tornata a casa, ripetè al marito quanto il monaco Waraqa aveva
detto e questi, tranquillizzatosi, tornò alla grotta per completare
i giorni di ritiro che si era prefissato. Trascorsi
questi giorni Muhammad lasciò la grotta, raggiunse la Mecca e,
ancor prima di andare a casa si recò alla Kaaba e salutò Waraqa
che confermò quanto aveva già detto a Khadìja, ma aggiunse:
"Sarai chiamato bugiardo, sari beffeggiato e maltrattato, ti
muoveranno guerra, ma, se sarò ancor vivo, sarò certamente dalla
tua parte."» Il
signor Omar si appoggia davanti alla cattedra e continua: «So che i
ragazzi moderni credono perlopiù solo alle cose che vedono,
sentono, toccano. Ma riflettete un momento. Di certo non vedete
nell'aria le immagini che cattura la televisione, eppure ci sono perché
voi le vedete poi sullo schermo; non udite andando per strada le
mille voci di chi sta telefonando da un capo all'altro della città
e addirittura del mondo, ma andando a casa vostra, vi arriva la
voce di chi vi ha chiamato al telefono. Vi voglio fare un altro
esempio: se osservate un aeroplano da turismo distinguete tutte le
sue parti, ali, fusoliera, elica. Quando il motore si avvia e
l'elica comincia a girare sempre più forte, ad un certo punto non
la si vede più, ma l'elica c'è sempre, solo che il velocissimo
movimento v'impedisce di vederla. Beninteso
questi non sono che esempi, e non vanno presi alla lettera quando si
tratta di cose spirituali; servono solo ad indicarci che ci sono cose
che esistono, ma che non vediamo. Vi
faccio notare un'altra cosa importante. L'Arcangelo Gabriele era
comparso anche alla Vergine Maria per annunciarle la nascita di
Gesù, allo stesso modo che, come vi ho poch'anzi detto, l'Arcangelo
Gabriele è poi comparso anche a Muhammad per portargli la Rivelazione.»
Alcuni
ragazzi annuiscono come per dire: «Sappiamo già da tempo che
l'Arcangelo Gabriele è comparso alla Vergine, non è una cosa
nuova!» E
il signor Omar continua. «Per
i successivi tre anni non vi furono rivelazioni ed il Profeta
Muhammad cominciava a temere, nonostante le rassicurazioni di Khadìja,
di essere dispiaciuto per qualche motivo al Cielo. Poi,
ecco il periodo di silenzio s'interrompe con una rivelazione che dice
tra l'altro... (il signor Omar prende il Corano in traduzione
italiana che aveva appoggiato su un banco, cerca un po', quindi
legge): "...Il tuo
Signore non ti ha dimenticato, né ti odia!.... Non ti ha Egli
trovato orfano e ti ha protetto? Non ti ha trovato sperduto e ti ha
guidato? Non ti ha trovato bisognoso e ti ha arricchito? Così non
opprimere l'orfano, non scacciare il mendicante e proclama la
generosa Grazia del tuo Signore." (Corano,
Sura XCIII, versetti 3-11). Con
queste parole Iddio rassicura il Profeta, gli ricorda la Sua generosità
e gli impartisce i primi insegnamenti: aiutare gli orfani, i
mendicanti, insomma i bisognosi, e proclamare la Sua Benevolenza. Più
tardi un'altra rivelazione ingiungerà al Profeta di avvertire i
suoi parenti più vicini, chiamandoli alla nuova religione (Corano,
Sura XVI, versetto
214).» Il
padre di Nureddin cerca ancora nel Corano e legge: «Palesa quindi quello che ti è stato rivelato, e allontanati dagli
idolatri. Ti bastiamo Noi contro chi ti deride»
(Corano, Sura XV, versetti 94-95). «Già,
perché dovete sapere che Muhammad fu deriso, schernito, qualcuno
tentò persino di ucciderlo e i suoi primi seguaci vennero
addirittura perseguitati, tant'è vero che un certo numero di loro
cercò rifugio in Abissinia dove il sovrano li accolse sotto la
sua protezione. Col
passare del tempo aumentava il numero dei seguaci di Muhammad, ma
aumentava anche l'ostilità verso di loro da parte della maggioranza
delle altre tribù della Mecca. Ci
furono varie vicissitudini, tra cui la morte di Khadìja, e, ad un
certo momento, diventando intollerabile la situazione alla
Mecca, i Musulmani emigrarono, a piccoli gruppi ed in segreto, a
Medina dove era stato promesso a loro asilo e protezione. Anche
il Profeta, sfuggito ad un attentato alla sua persona, emigrò fortunosamente
a Medina, ma solo dopo averne avuto il permesso da un messaggio
divino. Vi
racconto l'episodio appassionante della sua migrazione, poi vi lascerò
liberi perché vedo che siete irrequieti e vi volete sgranchire un
po' le gambe. L'occhio
dell'immaginazione mi fa vedere questo episodio della vita del
Profeta come se assistessi ad un film appassionante. Provateci
anche voi!» Detto
questo il signor Omar continua. «Ecco
il Profeta raggiungere la casa di Abu Bakr, il suo più fedele tra i
suoi fedelissimi amici, e, con lui, uscire furtivamente da una finestra
che dava sul retro della casa e montare veloci in groppa a due
cammelli che, già sellati, aspettavano. Abû
Bakr aveva preso dietro di sé uno dei suoi figli perché riportasse
i due cammelli ed un pastore fedelissimo doveva far pascolare le sue
pecore in modo da cancellare le tracce dei cammelli. I
due fuggitivi si rifugiarono in una caverna, come avevano stabilito,
mentre alla Mecca, scoperta la fuga di Muhammad fu offerto un premio
di cento cammelli a chi l'avesse riportato e, per un premio così
generoso, molti furono coloro che si misero alla sua ricerca. State
a sentire ora che cosa accadde. Erano
da tre giorni nella caverna quando, improvvisamente, il silenzio
circostante fu rotto da alcune voci. Poi udirono addirittura dei
passi che si stavano avvicinando e che s'arrestavano proprio
all'ingresso della caverna. Riuscite
ad immedesimarvi in questa scena? Ma,
altrettanto improvvisamente, quasi miracolosamente, i passi si allontanarono
dopo che qualcuno aveva espresso il parere che era inutile entrare
in quella grotta, poiché sicuramente all'interno non poteva esserci
nessuno. Quando
finalmente si fu spento il rumore dei passi e delle voci, il Profeta
con Abû Bakr avanzarono verso l'ingresso della caverna e con
stupore videro che una grande acacia, che la mattina non c'era,
occupava l'intera entrata e persino un ragno aveva tessuto la sua
tela tra l'albero e la parete della grotta, mentre una colomba
occupava, come se stesse covando, un piccolo anfratto. Si erano così
realizzate le parole che il Profeta aveva detto ad Abû Bakr
all'udire le voci degli uomini che li stavano cercando: "Non
temere, poiché in verità Dio è con noi." Dopo
alcuni giorni Muhammad ed Abû Bakr raggiunsero Medina, la città
che li attendeva e che li accolse con gioia.» Il
signor Omar si ferma un attimo, poi, guardando nella direzione della
bibliotechina di classe, esorta il ragazzo più vicino a prendere il
vocabolario, cercare la parola Egira
e leggere ad alta voce. Fruscio di pagine girate, un dito che scorre
sulle righe e poi ecco la definizione: Egira,
la fuga di Maometto da Mecca a Medina nel 622 d.C., inizio dell'era
islamica. «Bene!
- interviene il signor Omar - a parte che abbiamo già detto che è
meglio dire Muhammad, è proprio da questa data che gli Arabi
iniziano a contare gli anni della loro storia, con un calendario un
po' diverso da quello occidentale perché si basa sulla luna che,
come voi avete studiato, con le sue fasi, dà nascita ad un mese un
po' più breve. Ciò non toglie comunque che nei paesi orientali si
usi anche il calendario che voi conoscete come ad esempio negli
affari e per il commercio in generale. A
proposito di commercio! - esclama il signor Omar battendosi la mano
sulla fronte come chi fa il gesto di aver dimenticato qualcosa -
Devo fare assolutamente una telefonata.
Durante
l'assenza del signor Omar, l'insegnante approfitta per chiedere agli
alunni se riescono a comprendere bene, se hanno domande da fare e li
esorta a non intimidirsi di fronte al signor Omar poiché è anche
lui un papà abituato a trattare con i ragazzi. A
queste parole il cuore di Nureddin batte più forte: vorrebbe nel
contempo scomparire perché si tratta del suo papà e mettersi in
mostra sempre per la stessa ragione. Se ne sta invece tranquillo,
al suo posto, con un'aria quasi indifferente, come se la cosa non lo
riguardasse, anche se sente un qualcosa che gli attanaglia un po' il
petto. I
suoi compagni rispondono disordinatamente: le voci si accavallano,
si mescolano, ma nell'insieme si comprende che sono soddisfatti e
interessati alla spiegazione, quasi più dall'espressione dei loro
volti che dalle parole che giungono un po' confuse ed indistinte. Ora
Nureddin è felice e mentre l'insegnante esorta i ragazzi a parlare
più ordinatamente, magari alzando la mano, uno per volta, come ai
suoi tempi quando si era più disciplinati, ecco ricomparire il
signor Omar. Ritorna
la calma, vuoi per l'imponenza della sua figura, vuoi per qual
briciolo di soggezione che è rimasta nonostante le rassicurazioni,
vuoi per la tacita curiosità del che-cosa-avrebbe-ora-detto. Il
signor Omar riprende con tranquillità e c'è una certa espressione
soddisfatta sul suo volto, forse dovuta al buon esito della
telefonata. «Dunque
vi ho detto che il Profeta e Abu Bakr furono accolti a Medina dove
più tardi, a poco a poco, furono raggiunti da altri Musulmani che
erano rimasti alla Mecca. Ma,
ragazzi, non so se riuscite ad immaginare le difficoltà pratiche,
obbiettive, ma soprattutto lo stato d'animo di questi Musulmani
emigrati. Immaginate di dover lasciare la vostra casa, le vostre
cose, anche qualche vostro parente e cari amici per andare lontano.
Come vi sentireste? A dir poco sareste tristi e melanconici,
soffrireste di nostalgia e i ricordi vi farebbero soffrire ancor
di più perché renderebbero più evidente la lontananza e il
distacco. Anch'io
anni fa, quando sono venuto in Italia, ho sofferto tutto questo. Ma
non voglio fare casi personali, solo dirvi che per esperienza posso
capire molto bene quello che provarono i Musulmani di allora e
quello che provano ancor oggi coloro che devono lasciare i luoghi
dove sono nati. È
in queste occasioni che anche un sorriso, uno sguardo, un atto
gentile vi fa sentire meno soli; è in queste occasioni che l'aiuto,
la mano tesa verso di voi, in una parola, la solidarietà umana
diventa fratellanza: anche in terra lontana c'è chi mi sorride, mi
parla, si interessa a me, mi aiuta, forse mi è anche amico.
E nell'animo scende un po' di calore che scioglie il gelo
doloroso della solitudine. Ma
ritorniamo a Medina nel 622 d.C. Muhammad,
che ben conosceva l'animo umano, e quindi anche la sofferenza
degli immigrati a Medina, ebbe una straordinaria idea per meglio
integrare meccani e medinesi: unì, con una sorta di contratto di
fratellanza, un emigrato ad un medinese, che lavoravano insieme e
si aiutavano reciprocamente nell'affrontare ogni genere di
problema. Anche
voi ragazzi, pur essendo tanto giovani, sapete bene come certi
vincoli di amicizia che vengono a stabilirsi fra le persone siano a
volte ancor più profondi di quelli del sangue e so che tutti voi,
nessuno escluso, crede fermamente nell'amicizia. È uno dei primi
sentimenti che prova l'animo umano; infatti già da piccolissimi si
dice: È mio amico! con
importanza e serietà per fare intendere che lo si è eletto, tra
tanti, proprio lui, il più vicino al nostro cuore.»
«Ora,
dovete sapere, che a Medina, oltre ai Musulmani, vivevano anche
Ebrei e Cristiani, ed il Profeta, con il consenso di tutti, vi
istituì una città-stato, dotandola anche di una costituzione
scritta, la prima al mondo. In
essa era stabilito che tutti avevano gli stessi diritti, che se ad
uno veniva fatto un torto doveva essere aiutato da tutti, che ognuno
poteva professare la propria religione ed in caso di attacco nemico
tutti insieme dovevano difendere la città come un sol popolo. In
caso di divergenze interne tutti riconobbero l'autorità di
Muhammad per dirimerle, per metter cioè pace tra i contendenti. Ma
abbiamo dimenticato la gente di Mecca. Costoro erano molto contrariati
per essersi lasciati sfuggire il Profeta, per il fatto che egli a
Medina avesse fondato una città stato e soprattutto per il credito
sempre più favorevole che trovavano sia Muhammad in prima persona
che la religione a lui rivelata. Gli mossero quindi guerra e nel 624
d.C. uno sparuto numero di Musulmani riuscì vittorioso contro i
mille guerrieri meccani, armati di tutto punto, nella pianura di
Badr. E l'anno seguente, dopo una sanguinosa battaglia ad Uhud, di
nuovo i meccani si ritirarono senza nulla di fatto, ma promettendo
di ritornare. Infatti, dopo due anni di preparazione, i meccani,
alleandosi con varie altre tribù, riuscirono a mettere insieme un
grande esercito. Qui
c'è un bel episodio che vi voglio raccontare; voi immaginate la
scena. I
medinesi temono l'assedio ed il Profeta raduna i suoi compagni per
decidere come difendere la città. Tra di loro c'è un persiano di
nome Salmàn che racconta come in Persia, per difendere le città,
si usava scavare intorno ad esse una sorta di trincea, un fossato. «Voi
sapete bene di che cosa si tratta e ne avete forse anche visti intorno
a città e castelli. Ebbene,
tutti sono d'accordo e si mettono prontamente al lavoro. La comunità
viene divisa in gruppi e a ciascun gruppo affidato un pezzo di
fossato. Portano via la terra di scavo, tenendo da parte i sassi che
avrebbero potuto servire come proiettili, ponendola in cesti di
paglia e chi non aveva cesti metteva la terra negli abiti che non
indossava legati in modo da formare dei sacchi. Persino
i ragazzi partecipavano orgogliosamente al lavoro, anche se era
stato loro chiaramente detto che avrebbero dovuto tornare immediatamente
a casa se fosse comparso il
nemico. E
voi cosa avreste fatto?» Domanda il signor Omar. «Ci
sarei andato» - risponde un ragazzo. «Anch'io!»,
dice un altro. «Anch'io!»,
un terzo, finché è un coro generale. E si sente la loro partecipazione:
con la fantasia si sentono là, a scavare, sotto il sole cocente,
per collaborare, per difendere la loro città. «Certo
- continua il signor Omar - sarebbe stato meglio non arrivare alla
guerra, ma se si è attaccati che cosa resta da fare se non
difendersi?» Alcuni
dei ragazzi fanno di sì con la testa, annuiscono, un altro si stringe
nelle spalle come per dire che non c'è altra soluzione. Il
signor Omar riprende: «Tutti lavoravano alacremente a scavare il
fossato e si esortavano l'un l'altro, cantavano anche, a volte
scherzavano. I
meccani posero l'assedio a Medina per circa trenta giorni, poi, stremati,
tornarono indietro, senza aver ingaggiato una vera e propria battaglia,
ma soltanto qualche scaramuccia. Ci
fu poi un trattato di pace più volte infranto dai meccani, finché
i Musulmani con un forte esercito giunsero di sorpresa alla Mecca e
l'occuparono senza combattere. Muhammad
radunò gli abitanti e chiese loro: "Che trattamento vi
aspettate da me?" la risposta fu il silenzioso abbassare del
capo. Il
Profeta riprese: "Ebbene, possa Iddio perdonarvi. Andate in
pace, siete liberi." Che
magnanimità, vero ragazzi? E questo suo generoso atteggiamento
cambiò la disposizione d'animo dei meccani anche nei confronti
della religione, infatti la più parte di loro divennero
Musulmani.»
Il
signor Omar continua: «Parecchi
anni sono trascorsi da quando per la prima volta l'Arcangelo
Gabriele era comparso a Muhammad ritirato in una grotta, portandogli
l'annuncio della Rivelazione e comunicandogli che egli era il
Profeta inviato da Dio. Per
i ventitré anni consecutivi la Rivelazione continuò portando persino
versetti appropriati a situazioni particolari riferentisi anche alla
vita quotidiana. Pensate! Ad esempio c'è chi è incolpato
ingiustamente e dal Cielo, attraverso il Profeta, vengono le parole
che lo scagionano. Se fosse capitato a voi, come vi sareste
sentiti nel vostro intimo? Fu quello sicuramente un periodo
straordinario in cui Cielo e Terra, divino ed umano, non erano
separati, ma coesistevano, voglio dire si compenetravano l'uno con
l'altro. Ecco, forse mi capite se dico che si fondevano l'uno con
l'altro. Qualcuno
di voi sta pensando: "Ma come si faceva a capire che le parole
che diceva Muhammad erano parte della Rivelazione?" I testi che
parlano di quel periodo ci dicono che segni esteriori apparivano
sul corpo del Profeta: egli sudava in maniera eccezionale anche se
faceva freddo, oppure il suo corpo diventava straordinariamente
pesante al punto che, una volta, la cammella sulla quale si trovava
stramazzò al suolo per il suo peso che era diventato eccessivo. E
in un'altra occasione un compagno racconta che la gamba del Profeta,
che era appoggiata alla sua mentre stavano seduti per terra, era
diventata così pesante che temette gli si potesse spezzare. A
volte le persone chiedevano a Muhammad: "Viene da te o da
Dio?", ed il
Profeta rispondeva. Possiamo mettere in dubbio che non dicesse la
verità? Come può un uomo cui compare un angelo, che è testimone
in se stesso di eventi prodigiosi non essere poi una persona
sincera, retta, onesta, dotata delle migliori qualità? A
questo punto vi devo parlare della Sunna.
È una parola araba che tradotta significa "norma di
comportamento". E
poiché il Corano stesso dice: "Ubbidite
a Dio e ubbidite al Suo Inviato" (Cor., IV, 55), ed anche: "Avete certamente nell'Inviato di Dio un buon esempio..."
(Cor., XXXIII, 21), ecco che i Musulmani cercano di seguire la condotta
che egli ebbe in vita. Ci
sono molte narrazioni che ci tramandano dei racconti sul Profeta, le
sue azioni, le sue parole, e i Musulmani pii cercano, fin dove è
possibile, di imitarle e di trarne insegnamenti per la vita di tutti
i giorni. Insomma, fanno del Profeta un loro modello, anzi "il
modello" per eccellenza.»
«Ora
vediamo. Siamo nell'anno 631 d.C. che corrisponde al 10° anno
dell'Egira.» Il
signor Omar fissa tra il severissimo e il divertito
il ragazzino del secondo banco e domanda: «Cosa vuol dire
Egira? Ti ricordi?» Ma
il ragazzino del secondo banco è tra i più bravi e perciò, con
una certa soddisfazione, quella di chi sa rispondere, replica: «È
il momento in cui il Profeta Muhammad è emigrato dalla Mecca a
Medina e da quel momento gli Arabi cominciano a contare gli anni.» «Bravo!
Vedo che sei attento e ricordi bene quanto dico - esclama il signor
Omar - spero che ce ne siano altri attenti e bravi come te.» «Dunque,
dicevo, siamo nel 10° anno dell'Egira e Muhammad si recò alla
Mecca per compiere il rito del Pellegrinaggio di cui vi parlerò
un'altra volta, ed è in questa occasione che indirizza alla gente
che è con lui, si dice siano state centoventi, centoquarantamila
persone, un famoso discorso e sarà l'ultima volta che il Profeta si
troverà a parlare con tanta gente. Sapeva infatti che la sua
morte era abbastanza vicina. Esortò
il popolo a trattarsi bene l'un l'altro,
disse dell'eguaglianza di tutti, dell'inviolabilità della
vita, dell'abolizione della giustizia privata e raccomandò per tre
volte di trattar bene le donne soggiungendo che attenendosi al
Corano sarebbero stati preservati da ogni errore. Tornato
a Medina il Profeta cadde malato; a giorni, quando le condizioni
fisiche glielo permettevano, riusciva ancora a guidare la preghiera
e fu in una di queste occasioni, vedendo la profonda religiosità
del suo popolo raccolto in preghiera che provò una gioia così
grande che anche il suo volto mutò al punto che si tramanda che uno
dei suoi più intimi disse: "Non avevo mai visto il volto del
Profeta bello come in quel momento." Sapete
bene anche voi che le emozioni si rispecchiano sul volto: tristezza
e dolore, gioia e felicità; mentre le prime incupiscono le altre,
illuminandolo, danno luce e splendore al viso. Ma
la malattia peggiorò ed un giorno, come tutti i mortali, anche il
Profeta, colui che era stato oggetto da parte di Dio di un favore
eccezionale ed aveva trasmesso agli Arabi, e tramite loro a tutta
l'umanità, l'ultima Rivelazione, l'ultimo Messaggio di Dio agli
uomini, dovette lasciare questo mondo. Era
l'anno 632 d.C., l'undicesimo dell'Egira, e Muhammad aveva sessantatré
anni.» Il
signor Omar s'arresta un istante, è assorto, poi soggiunge: «So
che voi siete giovanissimi, non pensate e non dovete pensare alla
morte, ma ho letto tempo fa delle parole che il Profeta ha detto e
che tutti gli uomini potrebbero attribuire a loro stessi. Sono
semplici, ma nascondono un profondo significato e mi piace
citarvele per concludere oggi il nostro incontro. Il
Profeta aveva detto: "Io
e il mondo siamo come un cavaliere e l'albero sotto il quale egli si
ripara. Poi il cavaliere se ne va e lascia l'albero indietro".»
Per
alcuni istanti i ragazzi riflettono; il silenzio è profondo, poi,
uno sguardo all'orologio e l'idea della fine delle lezioni spezza
l'atmosfera che si era creata. Di
fatti, pochi minuti dopo, ecco il fatidico suono della campana e già
sono tutti in piedi, forse anche dimentichi di quanto hanno appena
udito. Qualcuno lo ritroverà più tardi, nella profondità
silenziosa del proprio cuore.
Il
signor Omar esce dalla classe con Nureddin ed alcuni suoi compagni.
Fuori c'è qualche genitore ad aspettare, addirittura qualche nonna. Il
consueto: «Come è andata oggi?» E l'altrettanto abituale: «Bene!»
Poi una corsa e per qualche ora alla scuola non ci si pensa più. Dietro
ai ragazzi che si rincorrono camminano gli adulti; alcuni si conoscono
da tempo e parlano tra loro. Il signor Omar è un po' disorientato:
tutti sanno che è il papà di Nureddin, ma lui non conosce gli
altri. Ad un tratto una signora gli tende la mano esclamando: «Sono
la mamma di quel birichino là (e fa segno col dito) che è in
classe con suo figlio.» Il
ghiaccio è rotto e tutti chiacchierano, naturalmente dei propri
figli e della scuola.
Sono
passati alcuni mesi. È ormai lontanissimo il primo giorno di scuola
quando Nureddin, entrando in classe, si era sentito tutti gli occhi
puntati addosso e quando il suo piccolo cuore, stretto d'angoscia,
gli aveva serrato un po' la gola. Non se ne ricorda neppure: ha
trovato molti amici e non solo tra i compagni di scuola. Ora poi che
lo hanno visto giocare così bene al calcio nel ruolo di terzino è
addirittura contesso dalle varie squadrette, sia della scuola, sia
del quartiere dove abita. Ed
anche il signor Omar a scuola è conosciuto da tutte e tutti sanno
che nella classe di suo figlio ha tenuto delle conversazioni sulla
religione islamica. Alcune insegnanti pensano già di chiedergli se,
in futuro, sarà disponibile anche per altre classi, magari
raggruppandone alcune, perché, si sa, che il tempo è prezioso e il
signor Omar ha anche il suo lavoro.
A
proposito del signor Omar! Eccolo arrivare ancora una volta,
l'ultima nella classe di Nureddin. È
ormai una vecchia conoscenza e come tale viene accolto. Anzi, oggi
un ragazzino, pensando di fargli cosa gradita, gli vuole regalare
una cartolina che ha ricevuto da amici che sono stati in Egitto e
che raffigura una grande moschea del Cairo. Il
signor Omar accetta molto volentieri il modesto dono e soggiunge: «Ti
ringrazio, è segno che hai pensato a me e questo vale più del dono
che mi fai.» Poi appoggia la sua mano sulla spalla del ragazzino.
Tra uomini non ci sono smancerie, ma questo gesto dice tutta la
simpatia e l'affetto. Quindi
il signor Omar inizia la sua "lezione": «Fino ad ora vi
ho parlato di parecchie cose: dei profeti, della Rivelazione, del
Corano, ma vi ho raccontato soprattutto la vita del Profeta
Muhammad. Questo perché penso che sia necessario conoscere un po'
le persone per poterle apprezzare e stimare. Se noi, per esempio,
non ci fossimo mai conosciuti, non ci fossimo mai parlati,
incontrandoci per la via non ci saremmo neppure salutati. Ora,
invece, se ci si incontrerà non solo ci saluteremo, ma ci domanderemo
della salute, degli studi, del lavoro, partecipando l'uno della vita
dell'altro. Quindi
vi ho parlato della vita di Muhammad perché voi, conoscendo la sua
storia, potrete apprezzarlo, stimarlo, e perché no?, anche amarlo
ed anche perché, sentendo parlare dell'Islam, possiate dire il
vostro pensiero e quello che avete appreso e apprenderete,
correggendo eventuali inesattezze ed eventuali errori. E sappiate
che di queste inesattezze, di questi errori ne circolano veramente
tanti. Ora
dobbiamo parlare dei cinque pilastri dell'Islam. Che cosa vi richiama
alla mente, per associazione di idee, la parola
"pilastro"?» Mani
tese, voci confuse, poi, quello che grida di più sopravanza gli
altri e si ode: ... su cui
appoggia. «Bene,
ho sentito un su cui appoggia
venire da qualche parte. Ecco, è proprio ben detto; sono cinque
pilastri, cinque punti che sintetizzano la pratica della religione
islamica, quella su cui essa di fonda, si appoggia. Ve li elenco: 1.
La professione di fede: Non v'è
divinità se non Dio e Muhammad è l'Inviato di Dio. 2.
La preghiera rituale, che si chiama Salâh,
cinque volte al giorno. 3.
Il pagamento di un'elemosina obbligatoria che si chiama Zakât. 4.
Il digiuno durante il mese di Ramadân. 5.
Ed infine il pellegrinaggio al tempio della Mecca almeno una volta
nella vita, se se ne hanno i mezzi. Il
primo, Non v'è divinità se
non Dio e Muhammad è l'Inviato di Dio, costituisce ciò che
è necessario dire e credere per essere Musulmani. La religione
islamica ribadisce spesso questo concetto dell'esistenza di un unico
Dio per evitare che gli uomini cadano nel politeismo, parola che voi
già conoscete e che significa credenza in tante divinità, come è
successo per molti popoli dell'antichità e per certi ancora ai
nostri giorni. Per
spiegarmi meglio vi farò un esempio molto semplice e concreto e
voglia Dio perdonarmi i paragoni che farò. Pensiamo
di avere tra le mani un poliedro con tante facce o più semplicemente
un cubo che è... Dio. Chiedo ancora perdono. Se considero una
faccia vedo quello che gli antichi dicevano essere il Dio della
vita, se guardo un'altra faccia, Quello della morte, della pioggia,
delle messi, della prosperità, della salvezza, ma io in, mano, ho
sempre il mio cubo. Quindi questi sono tutti aspetti a cui un unico
Dio sovrintende, presiede, non sono tanti dei. In questo consiste
l'errore del politeismo. Inoltre,
se penso a Dio penso al Perfetto, al Sommo, Colui che racchiude in
Sé il tutto, quindi non posso pensare che spartisca qualcosa con un
altro, perché allora cesserebbe di essere il Dio Sommo, o ancora
che sia inferiore ad un altro, perché altrimenti sarebbe
quest'ultimo il Dio Sommo. So
che è un concetto difficile quello che ho tentato di spiegarvi, ma
penso che per la vostra giovane età, se avete intuito quello che vi
ho detto è già abbastanza. La
seconda parte del primo pilastro, Muhammad
è l'Inviato di Dio, è molto più semplice da comprendere e se
vi ricordate quanto vi ho detto negli altri nostri incontri è
addirittura evidente. Ricapitolo: Muhammad viene indicato da altri
come un uomo eccezionale - vi ricordate il monaco cristiano Bahìra?
-, è un uomo pio che si ritira in preghiera in una grotta
solitaria, è chiamato profeta dall'Arcangelo Gabriele; sente in sé
le parole della Rivelazione che costituiscono il Corano e secondo lo
stesso Corano sarà definito il «Sigillo dei profeti».
Parliamo
ora del secondo pilastro: le Preghiere canoniche. Il
Musulmano, a partire dai dodici anni, è chiamato a ricordarsi di
Dio rivolgendoGli un rito cinque volte al giorno: all'alba, al
mezzogiorno, a metà pomeriggio, al tramonto del sole e alla sera.
Tralascio i dettagli, vi basti sapere che se è ammalato o in
viaggio può godere di certe, diciamo, "agevolazioni" che
rendono meno gravoso il suo compito, poiché è scritto nel Corano
che Dio vuole per noi la facilità. Queste
Preghiere vanno precedute da un rito di purificazione da farsi
normalmente con l'acqua con cui ci si bagnano certe parti del corpo.
Non pensate che sia questa una norma igienica, infatti se non c'è
acqua si può compiere lo stesso rito con un sasso su cui strofinare
le mani prima di passarsele sul volto e gli avambracci o
addirittura passare le mani sulla sabbia pulita. Questo
rito di purificazione, come d'altra parte anche tutti gli altri
riti, ha soprattutto un significato simbolico. Quando andate in
visita da parenti o amici non date una sistematina al vostro
abbigliamento, al vostro aspetto esteriore?» (Si
sente un «certamente» provenire dal fondo della classe.) «Ebbene,
allora perché non presentarsi anche davanti a Dio con un atteggiamento
interiore diverso che si ottiene appunto attraverso questa
purificazione? Durante
il rito della Preghiera ci si trova a tu per tu con l'Altissimo e
nell'Islam qualsiasi luogo pulito e privo di sozzure può diventare
un luogo sacro dove si può pregare e non c'è neppure, per così
dire, un officiante ufficiale come potrebbe essere un sacerdote,
ma ciascuno è sacerdote di se stesso. Se poi si prega in tanti
allora si designa una persona a fungere da guida e tutti i fedeli la
seguono e questa persona può essere, ad esempio, o una più
sapiente di altri in fatto di religione, o un uomo particolarmente
pio. La
Preghiera consiste in una serie di gesti quale lo stare ritto in
piedi, l'inchinarsi, il prosternarsi ed il tenersi assisi,
accompagnati da recitazioni del Libro sacro e da formule fisse di
invocazione a Dio che non sono casuali, perché - vi ricordate? -
l'Arcangelo Gabriele le insegnò a Muhammad e Muhammad alla sua
Comunità. Questo
non toglie che l'uomo possa rivolgersi liberamente a Dio in ogni
momento, anzi sarebbe auspicabile che il suo pensiero Gli si rivolgesse
spesso per chiedere aiuto, consiglio, sostegno, per lodarLo o semplicemente
per ricordarLo.»
C'è
una mano alzata e il signor Omar chiede: «Vuoi dire qualche cosa?» «Sì»,
risponde il ragazzo vicino alla finestra del cortile. «La mamma e
la nonna, qualche volta hanno in mano il rosario. Anche nell'Islam
c'è il rosario?» «Certo
- risponde il signor Omar - e si racconta che un Compagno di
Muhammad, dovendo contare il numero di volte che diceva una certa invocazione,
ebbe l'idea di fare dei nodi su una corda formando così una specie
di rosario. Ora ce ne sono diversi fatti per lo più di materiale
semplice e povero, ma ne troviamo anche di più pregiati.»
«Affrontiamo
ora il terzo pilastro, quello che parla dell'elemosina. Vi
siete accorti di quante persone per la strada tendono la mano alla
ricerca di un po' di aiuto, di qualche soldo? L'elemosina che voi
fareste a costoro in arabo si chiamerebbe Sadaqa
e non è esattamente quella che contempla il terzo pilastro,
perché questa è facoltativa e non obbligatoria come lo è invece
la Zakât. Dopo
aver provveduto a se stessi e alla propria famiglia in fatto di abitazione,
vitto, vestiario e quant'altro è necessario per vivere, se
rimangono dei soldi su questi viene conteggiato il 2,5 % e la somma
risultante, che è appunto la Zakât
obbligatoria viene data ad enti preposti alla sua distribuzione
o direttamente ai bisognosi. È
un obbligo istituito da Dio e che trova nel Corano, che è la Sua
Parola, i versetti che la definiscono (e il signor Oram legge): «Le
elemosine rituali sono per i bisognosi, i poveri, per quelli
incaricati di raccoglierle, per quelli di cui bisogna conciliarsi i
cuori, per il riscatto degli schiavi, per quelli pesantemente
indebitati, per la
lotta sulla Via di Dio e pel viandante. Obbligo questo imposto da
Dio, e Dio è Saggio e Sapiente» (Cor.,
IX, 60). Il
termine zakât significa,
tra l'altro, "purezza". Donando una parte dei propri beni
l'uomo "purifica", per così dire, le sue sostanze che,
deve sempre ricordarlo, gli sono concesse dalla misericordia
divina. Al
mondo ci sono ricchi e poveri, ma ecco che se i primi danno parte
delle proprie sostanze ai secondi, questi non saranno più dei
miseri, ma avranno almeno l'indispensabile. Nel Corano vengono citate le categorie di persone a
cui spetta la Zakât e tra
queste ci sono anche i non-Musulmani. Iddio è davvero generoso!»
«Vi
devo dire ora qualcosa a proposito del digiuno obbligatorio che costituisce
il quarto pilastro. Si
digiuna durante il mese di Ramadân per ricordare la discesa del Corano,
poiché questo fu sì rivelato con la mediazione dell'Arcangelo
Gabriele al Profeta Muhammad - come vi ho già detto - durante
venticinque anni della sua vita a brani più o meno lunghi, ma,
prima ancora, Iddio aveva già rivelato direttamente al Profeta,
durante questo mese, il Corano tutto intero e in un'unica volta. Veniamo
ora a parlare delle modalità di questo digiuno. Potrebbe l'uomo
rimanere senza cibo né bevanda per un intero mese? Vedo già che
qualcuno scuote il capo: è proprio impossibile, quindi questa
astensione va solamente dall'alba al tramonto, poi è possibile
nutrirsi. Il
digiuno è una pratica comune a molte religioni: è un momento per
ricordarci di ringraziare Dio che ci concede il sostentamento, ma
digiuno non è solo non mangiare né bere, ma anche cercare di
astenersi da ciò che toglierebbe alla nostra anima la sua
"lucentezza", come ad esempio le maldicenze, i cattivi
pensieri, il comportamento riprovevole e così via. I Musulmani in
questo mese cercano di indirizzare quindi i loro pensieri e la loro
attività più verso il loro intimo che verso l'esterno: leggono il
Corano, cercano di pregare di più e più spesso, di meditare e di
compiere buone azioni. Chi
non può fare il digiuno perché malato o semplicemente in viaggio
può rimandarlo ad altro tempo o addirittura pagare una sorta di ammenda. Questa
dispensa ci dice della misericordia di Dio verso gli uomini: c'è
l'aspetto del Legislatore che emana la Legge, ma anche quello del
Signore che conosce le necessità e i problemi delle Sue creature. A
conferma di ciò dimenticavo di dirvi che i bambini e i ragazzi non
sottostanno all'obbligo del digiuno fino a quando non hanno
completato la loro crescita ed anche le mamme che allattano non
digiunano. Il
Ramadân viene concluso alla fine con una grande festa che è una
delle maggiori del mondo islamico: parenti ed amici si invitano
scambievolmente ed è un momento di grande letizia e gioia di
trovarsi tutti insieme.
«Eccoci giunti a parlare del Pellegrinaggio. Più
che parlarne dovreste vedere qualche documentario, qualche video. È qualcosa di indescrivibile! Pensate, circa 2
milioni e mezzo di persone che si danno, per così dire,
appuntamento in uno stesso luogo, alla Mecca, per compiervi un rito
importante. Ogni religione ha i suoi luoghi sacri: ad esempio,
Gerusalemme con il Muro del Pianto per gli Ebrei, Roma per i
Cristiani e così via. Per i Musulmani è la Mecca con la Kaaba. Vi ricordate che vi ho già parlato della Kaaba
quando il Profeta Muhammad, durante la sua ricostruzione, mise la
Pietra Nera nel suo mantello che poi i rappresentanti delle diverse
tribù alzarono insieme in modo tale che tutti poterono dire di aver
partecipato alla sua posa? Secondo il Corano la Kaaba è il più antico tempio
dato da Dio agli uomini ed occupa un posto speciale tra i luoghi
sacri. Essa è infatti chiamata la Casa di Dio. Ma secondo voi significa che Dio vi abita come
intendiamo noi quando diciamo abito lì, abito in quella casa?» Alcuni, i più calmi, sorridono con aria di
superiorità o fanno di no col capo, mentre i più vivaci gridano
addirittura un sonorissimo "nooo". Il signor Omar riprende, lui pure sorridendo: «Allora,
per Casa di Dio si intende un luogo dove c'è la Sua Presenza, ed è
questa Presenza che rende il luogo sacro. Dio è ovunque, ma qui, in
un certo senso, più che altrove ed è questo che ne fa un luogo
sacro per eccellenza. Si tramanda che a costruire la Kaaba fu addirittura
Adamo e che questa, dopo di lui, subì varie distruzioni e
riedificazioni, tra cui quella ad opera di Abramo e Ismaele che la
ricostruirono dopo che era scomparsa durante il diluvio universale,
quello di cui anche la Bibbia ha ricordo narrando di Noè e
dell'Arca. Non pensate alla Kaaba come ad una costruzione
particolarmente grande o architettonicamente importante. Niente di
tutto questo! È una costruzione semplicissima, quasi un cubo
lungo 12 metri, largo 10 e alto 16, ed è ricoperta da un panno nero
su cui sono scritti alcuni versetti del Corano ricamati in oro.»
Così dicendo il signor Omar prende dalla cattedra un foglio
arrotolato e lo stende mostrando ai ragazzi una riproduzione della
Kaaba. Più che dalla costruzione in sé, l'attenzione dei
ragazzi si sofferma sulla folla che, s'intuisce, le sta girando
attorno. L'immagine parla da sola e l'impatto è imponente,
grandioso: migliaia di persone, uomini e donne, per lo più vestiti
di bianco, sono radunati in un sol luogo per celebrare insieme i
riti del Pellegrinaggio. Anche se l'obbligo del Pellegrinaggio non è
tassativo in quanto nel Corano è comandato: «Spetta
agli uomini di compiere il Pellegrinaggio alla Casa (di Dio), quelli
di loro che hanno la possibilità di farlo» (Cor.,
III, 97), molti hanno coronato il sogno della loro vita: hanno
raggranellato soldo su soldo per potersi permettere il viaggio perché
i pellegrini giungono dalle parti più diverse e lontane del mondo:
Asia, Africa, ma anche dall'Europa e dall'America. Il signor Omar riprende: «Pellegrinaggio in arabo si
dice Hajj che ha in sé il
senso di "dirigersi verso" e di "dominare qualche
cosa". È facilmente intuibile che "dirigersi
verso" significa verso la Kaaba, presa come simbolo del viaggio
dell'uomo verso Dio. Quanto a "dominare qualcosa"
significa dominare se stessi e almeno per quell'occasione ci si
deve sforzare affinché esista da un lato il pellegrino che si fa
puro servo e dall'altro solo la Volontà di Dio a cui ci si
sottomette. Il rito in se stesso consiste di varie parti che
cercherò di descrivervi per sommi capi. Prima di arrivare alla Mecca tutti i pellegrini si
consacrano a Dio e gli uomini, smessi gli abiti della vita
ordinaria, si rivestono
di due lembi di stoffa bianca, uno che cinge i fianchi e l'altro che
viene passato attorno alle spalle. Ciò significa simbolicamente che
tutti gli uomini sono uguali davanti a Dio: non c'è distinzione di
razza, non c'è più il ricco ben vestito e il povero con i suoi
miseri abiti. Ci si reca quindi ad Arafat, nei pressi della Mecca
per trascorrere un giorno in raccoglimento. Un mito racconta che
Adamo ed Eva, dopo la cacciata dal Paradiso terrestre, si
ritrovarono ad Arafat. Da lì, al tramonto, si raggiunge Mina, vicinissima
alla Mecca, dove si trascorrono tre giorni durante i quali si
ripete ogni mattina il gesto di lapidare Satana, si compie un
sacrificio, abitualmente di un montone, quindi ci si reca alla Mecca
per compiere i giri rituali attorno alla Kaaba e per fare la corsa 7
volte tra le colline di Safa e Marwa. Vediamo ragazzi il senso di questi riti, perché
ciascuno ha un suo significato, anzi a volte più di un
significato: uno esteriore, che tutti possono capire, ed uno più
nascosto e più difficile da comprendere. Il significato della
lapidazione di Satana è abbastanza evidente: è la lotta contro il
male e la risolutezza a sconfiggerlo. La visita alla Casa di Dio ed il girarle intorno sono
la testimonianza dell'ubbidienza e sottomissione dell'uomo. La corsa 7 volte tra Safa e Marwa ricorda la corsa
disperata di Agar, moglie di Abramo, in cerca di acqua per il suo
bambino Ismaele che rischiava di morire di sete. Prodigiosamente
scaturì una sorgente, chiamata poi Zamzam, che esiste tuttora, alle
cui acque Ismaele si dissetò, Ismaele che divenne il capostipite
del popolo arabo. Anche da un punto di vista sociale il Pellegrinaggio
è un fatto importante in quanto Musulmani, provenienti dalle più
diverse e più lontane parti del mondo, restano nello stesso luogo
alcuni giorni, compiendo gli stessi riti e sentono che qualcosa di
molto profondo li accomuna e li affratella al di là di ogni
provenienza e appartenenza culturale e sociale. A tutti i pellegrini si recita ancor oggi il celebre
discorso che il Profeta Muhammad tenne alla sua comunità l'ultima
volta che si recò lui pure in pellegrinaggio, tre mesi circa prima
di morire, e che tutti conoscono col nome di "Discorso
d'addio".» Il signor Omar chiede: «Nessuno di voi è stato in
un luogo particolarmente importante, particolarmente santo?» Tra tutti, solo un ragazzino alza la mano e dice di
essere stato in un luogo di cui non ricorda più il nome, ma dove
c'era una chiesa e dove si recava molta gente. Quindi il signor Omar riprende, indirizzandosi
particolarmente a lui: «E non ti pareva che la gente fosse più
buona, più disponibile, in pace con se stessa e con gli altri?» E
senza attendere risposta continua: «È
proprio così. La visita ai luoghi carichi della Presenza
di Dio, ai luoghi sacri, rende l'uomo migliore sotto tutti i punti
di vista e tornando alla propria casa egli ha il cuore gonfio di
serenità, l'animo vibrante, proteso verso le cose spirituali e
pieno di buoni propositi. Poi il vortice della vita, soprattutto quella
frenetica moderna, lo risucchia, ma ogni qualvolta ricorderà il suo
pellegrinaggio ritroverà quello stato d'animo particolare, quella
serenità, quell'aspirazione verso cose elevate che, anche se per
pochi istanti, lo eleveranno in uno slancio verso il Sublime.» E qui il signor Omar sembra emozionato, forse ricorda
il suo pellegrinaggio, ma nessuno osa fare domande.
«Ecco
ragazzi, termino qui la mia "panoramica" sulla religione
islamica. Ci sarebbe ancora moltissimo da aggiungere, ma
approfondirete, se lo vorrete, quando sarete più grandi.» C'è
una pausa un po' più lunga del normale, ed è come se nell'aria ci
fosse ancora qualcosa da dire che faticasse a trovare l'espressione
giusta. Poi
il signor Omar con un sospiro continua e le sue parole sono pesanti
come lo è il suo cuore in questo momento. «Ed
ora ragazzi il commiato. Mi ero abituato a voi, ai vostri occhi,
alle vostre irrequietezze, capivo il vostro sforzo per stare fermi
ed attenti. Tra voi Nureddin non era il mio unico figlio, lo eravate
un po' tutti. La
sera, quando chiederò ad Allâh di proteggerlo, il mio pensiero
andrà a tutti voi. Vorrei
salutarvi da uomo ad uomo dando la mano a ciascuno di voi, ma
diventerebbe lungo e un po' patetico, perciò preferisco dirvi
"Ciao e grazie", grazie di essere stati insieme, è
stato bello.» E
il signor Omar esce dalla classe allontanandosi per il lungo
corridoio. I
ragazzi sono silenziosi: c'è un briciolo di tristezza per qualcosa
che è finito. Poi, la loro giovane età prende il sopravvento, i
loro pensieri corrono lontano e il loro cuore si sbarazza di quel
briciolo di tristezza. Hanno
imparato a conoscere un'altra religione, tra l'altro sanno che il
Corano è Parola di Dio, che Muhammad è l'ultimo dei profeti a cui
è stata inviata questa Parola. Hanno
appreso concetti semplici, ma basilari su cui eventualmente costruire.
Più tardi, avanti negli anni, si ricorderanno, sentendo parlare di
Musulmani, di un loro compagno e del suo papà che era andato nella
loro classe a spiegare le principali nozioni della religione
islamica. Il tempo avrò sfuocato le fattezze dei loro volti, ma non il seme gettato nei loro cuori: il seme della comprensione e della tolleranza attraverso la conoscenza.
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